Questa affermazione famosa, è di Alfred Korzybski e risale al 1913. Spiega che c’è differenza fra un oggetto e la rappresentazione dell’oggetto, tra una realtà e la sua rappresentazione. Non esiste una realtà unica, ma ognuno di noi costruisce la propria mappa sulla base della esperienza vissuta.
E come si può fare esperienza se non attraverso il corpo e la sensorialità?
A proposito di mappe corporee, capita di leggere che emozioni specifiche siano localizzate in parti del corpo, ad esempio che la rabbia sta nel fegato, l’affettività nel cuore.
Tuttavia, sono portata a pensare che le mappe siano utili per orientarci nel territorio, ma è solo attraverso il corpo che possiamo entrare e conoscere il territorio per abitarlo ed esplorarlo: so cosa è il deserto, ho visto foto e documentari, posso immaginare la sensazione della sabbia sotto ai miei piedi, della temperatura, ma per conoscere se mi piace o no la sensazione della sabbia, o riconoscere cosa provo mentre cammino in quella vastità, ho bisogno di essere fisicamente nel Sahara.
Ti starai chiedendo cosa ciò a che fare con il mio lavoro? Ecco spiegato con una storia vera. Tempo fa stavo lavorando con S. nell’area delle scapole, area in cui S. sentiva frequentemente tensione e dolore, quando S. mi chiede “Riconosci quali emozioni siano trattenute lì?”
Io ho risposto che ciò che sentivo era la qualità dei tessuti che trovavo resistenti, densi, fibrosi, poco elastici. Se questa qualità fosse la manifestazione di rabbia o invece di paura, o di stanchezza, io non potevo saperlo. Poi ho aggiunto che se c’erano emozioni trattenute, il mio compito era preparare il terreno perché esse si potessero manifestare, affiancarla nella esplorazione, ma che sarebbe stato il compito di S. di riconoscerle, dargli un nome, una collocazione, una storia.
La risposta dei S. è stata “Mi piace quello che dici, mi lascia libera!”.
Mi lascia libera di riconoscere quello che c’è per me, proprio in questo momento.